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RUMORE n. 116 - Franco "Lys" Dimauro
Disco di transizione per i Groovers non solo perché si tratta di un mini con 4 tracce nuove più altrettante riletture del già classico repertorio del gruppo di Michele Anelli, una per ogni album fin ora pubblicato, ma soprattutto perché mostra un gruppo in fase evolutiva e affina, sviluppandoli, alcuni piccoli segnali lanciati sul precedente disco in studio (That's All Folks!!). Sia chiaro, i punti fermi musicali e politici del gruppo di Novara, rimangono lì, immobili ed austeri come certi poster che dopo anni ti ritrovi ancora appesi in camera ma si nota un ottimo sforzo in fase di arrangiamento nel tentativo di dare un taglio diverso al proprio songwriting riuscito soprattutto laddove la formazione sceglie di percorrere strade meno rumorose (Ballad o la nuova versione di Sad Town per esempio) chiudendosi a riccio attorno al proprio cuore. Mi piacerebbe, e non mi stupirebbe, che il loro prossimo disco fosse solo di lampioncini e luci al neon, tra il Tom Joad di Springsteen e la New York di Lou Reed, fuori dalle highways, persi nella polvere, sporchi di olio motore e bourbon.
AktivirusMauronat - agosto 2001

"That's all, fols", disco che nel titolo sembrava sottindere la chiusura di un ciclo, ha prodotto un appendice, costituita da questo EP (otto pezzi !), che si potrà rivelare un'ottima compagnia per questa estate ormai nel vivo. Evidentemente, non era tutto: i Groovers avevano altre perle da aggiungere e altre cose da dire alla loro affezionata platea. Lo fanno con un disco che si potrebbe semplicisticamente dividere in due parti, un inizio con brani assolutamente nuovi, ed una conclusione con altri quattro pezzi, tra i più significativi della loro storia, riveduti e corretti senza lasciarne scomparire lo spirito originario. Ascoltando i quattro brani inediti, tra cui la title track rappresenta l'espressione più felice -comunque circondata dall'ottima compagnia di pezzi come "Darkness in Eldorado", "More than this job" e la struggente "Ballad", carica di speranza e di delusione - si ha l'impressione di trovare i due Groovers ed i numerosi musicisti che sempre li accompagnano nei loro dischi alle prese con un'impostazione più "moderna" nella costruzione dei pezzi, in particolare negli arrangiamenti. Un modo di suonare inconsueto per la band piemontese, che si lascia andare senza paura all'uso di effetti generalmente considerati inadatti a chi pratica musica "on the road", senza però farsi prendere troppo la mano: sono sempre gli strumenti che devono essere al servizio di chi fa musica e non viceversa. Tra i quattro retaggi del passato, rivisitati per l'occasione, in modo da integrarsi alla perfezione con il... groove generale del disco, citiamo l'omaggio a Lou Reed in chiusura del disco e del brano "I'm a free man in this...SAD TOWN", col mitico du dudu dudu dududu du di "Walk in the wild side" a sfumare il pezzo. Un ottimo disco e una sensazione: i Groovers hanno ancora molto da dire e il titolo di quel cd dell'anno scorso o è stato male interpretato, o è stata pura provocazione.




 

Rockit recensione di Faustiko agosto 2001
Solo per lo spirito che anima il gruppo guidato da Michele Anelli, occorrerebbe costruire in loro onore una statua. A convalidare la nostra tesi ecco questo ep di 8 tracce pubblicato a brevissima distanza dal precedente "That'a all folks!", disco che fotografava una band tutta intenta a recuperare lontane radici acustiche. "Do you remember the working class?" sembra proseguire il discorso, anche se l'accento stavolta viene messo su alcuni brani ripescati dalle uscite degli anni scorsi. In particolare sono le ultime 4 tracce del cd ad essere rilette, mentre le prime 4 del lotto sono composizioni nuovissime. La prima fra queste, che dà il titolo all'album, ci sembra quella più riuscita, per il tema affrontato e le sonorità espresse, assieme al brano intitolato semplicemente "Ballad" che tanto ricorda Dylan. Le riproposizioni, invece, si distinguono singolarmente perché ognuna appartiene in origine ai diversi 4 album finora pubblicati dal gruppo, rispecchiando quindi le atmosfere dei dischi di provenienza senza però farle sembrare dei semplici 'riempitivi'. Nel complesso, comunque, stiamo parlando di canzoni scritte e (re)interpretate da questa 'piccola grande' band che, nella persona del suo leader, ci sembra essere fra le poche formazioni degne di stima e rispetto - due attributi guadagnati sul campo suonando la propria musica.
Wolvernight luglio 2001 di Massimiliano STOTO
WOLVERNIGHT luglio 2001 L'urgenza di fissare un nuovo punto d'arrivo, ma anche la voglia di tornare a suonare come una vera rock 'n' roll band , sono le ragioni che a poco più di un anno dall'uscita di "That's all folks !!" spingono Michele Anelli al ritorno in un studio di registrazione. Il progetto è un mini cd, e con lui c'è la band che ha dato vita al tour seguente al disco del 2000, perciò Paolo Montanari alle tastiere, Evasio Muraro al basso, Antonio Guida alla batteria. Si riparte da qui, in quattro , dalla formazione dei Groovers più risicata. "Do you remember the working class ?" è un distillato di storia della band, che riparte da quattro pezzi inediti e sorvola il passato con la rilettura di un pezzo per ciascuno dei quattro dischi del gruppo. "That's all folks !!" e i concerti che ne sono seguiti ricostituiscono una band che non era più tale (volutamente del resto) dalla fine del tour di "September rain". Questo mini riparte da più parti, dal concetto del lavoro (il disco dell'anno scorso era dedicato a tutti coloro che hanno perso la vita sul lavoro) richiamato nel titolo e molto più marcatamente nei testi. Dalle soluzioni musicali inevitabilmente condizionate dall'esperienza di una nuova band e dalle sonorità di un disco stilisticamente innovativo come il precedente. Dalla rilettura, consentitemelo, a questo punto necessaria, di una storia lunga più di un decennio e infine dalla "voglia fisica" di tornare a fare un disco elettrico. Il risultato svela le gemme che questa nuova Primavera dei Groovers è pronta a regalarci. Canzoni fresche e rotonde con "Ballad" che raggiunge il pathos della canzone perfetta, che parlano rabbiosamente di lavoro, di promesse non mantenute, di miraggi futili. Che trasmettono però speranza attraverso frasi come "Da qualche parte in qualche modo tu sarai libero" il concetto del testo di "Ballad", oppure "Io sono più di questo lavoro" in "More than this job" o ancora "Combatti contro la voglia di lasciare perdere tutto" tra le parole di "Darkness in El Dorado". Le riletture dei vecchi brani sono il tiro spostato verso l'alto, una sfida pericolosa ma necessaria a ricollocare un passato che non va dimenticato, soprattutto oggi. Perché non è un caso se "Sad town" che inizia con la frase "Mio padre è senza lavoro e parla dei vecchi tempi….." è riletta per questo disco, come non lo è nemmeno "Where my daddy is ?" che si apre con "Mia madre lavora giù all'angolo……" oppure come "Something burnin' che ha il testo più violento e senza speranza che Anelli abbia mai scritto nella sua carriera. E questa parola "LAVORO" che torna ossessivamente, che è tema centrale, ma anche ferita e vuoto (politico e culturale), diventa per Anelli il punto di collegamento fra la sua idea di rock, la sua cultura e le sue passioni. Questo punto è oggi uno snodo cruciale da dove passa la musica di una delle poche realtà italiane che sappia ancora dare un senso al connubio tra rock e impegno sociale.







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